
Fascismo: origini e storia
L'Italia era uscita vincitrice dalla Grande Guerra, ma con molte perdite. L'economia era in crisi, la disoccupazione dilagava, c'erano i reduci che tornavano dal fronte senza lavoro e senza terra, e una popolazione ancora in larghissima parte rurale. L'industria faticava a riconvertirsi dalle produzioni belliche e molte imprese, tra cui la importante Banca Italiana di Sconto, fallirono. Queste problematiche crearono una situazione esplosiva che portò, nel 1919-20, al cosiddetto Biennio Rosso, caratterizzato da occupazioni di fabbriche e scioperi (definito "rosso" in quanto ispirato alla Rivoluzione d'Ottobre russa).
A questi problemi si aggiunse la vittoria mutilata, ovvero le mancate concessioni di territori nel trattato di Versailles, rispetto a quanto promesso. In particolare, mancava Fiume, che D'Annunzio si apprestò ad occupare con i suoi Arditi, mantenendola sotto il suo controllo per due anni.
Nel 1919 si svolsero le prime elezioni dopo la guerra, le prime a suffragio universale maschile con sistema proporzionale, che videro l'affermazione dei primi partiti di massa. A ottenere la maggioranza relativa, con il 32,4%, fu il Partito Socialista, sostenuto dall'ondata di fervore rivoluzionario successiva alla rivoluzione bolscevica del 1917. Il Partito Popolare di Don Luigi Sturzo, recentemente fondato come partito dei cattolici, ottenne il 20,6%. Fu necessario un governo guidato dal liberale Francesco Saverio Nitti.
Nel frattempo, il paese viveva scontri tra la maggioranza socialista, che rivendicava una posizione neutralista rispetto alla Grande Guerra, e la minoranza dei reduci, che consideravano la vittoria "mutilata" per il mancato rispetto degli accordi segreti del Patto di Londra e l'assenza di Fiume nei trattati di pace. Durante il Biennio Rosso, i socialisti guidarono scioperi di operai e contadini, fino all'occupazione di fabbriche e terre, creando un clima di tensione e paura di una rivoluzione bolscevica imminente.
In questo contesto vanno considerati sia il "combattentismo" dell'Associazione Nazionale Combattenti, un movimento figlio dell'interventismo di sinistra prebellico, sia il "nazionalismo" dell'Associazione Nazionalista di Alfredo Rocco e Luigi Federzoni (futuro legislatore del Codice penale fascista e futuro ministro fascista, rispettivamente).
Nel settembre del 1919, gruppi armati irregolari e reparti dell'esercito ammutinati, guidati da Gabriele D'Annunzio, poeta vate dell'interventismo, occuparono militarmente la città di Fiume (oggi Rijeka) nel tentativo di forzare la Conferenza di Parigi a riconoscere il fatto compiuto. L'occupazione non ebbe successo e fu risolta da Giolitti, che, come capo del governo, inviò l'esercito alla fine del 1920 per disarmare i manifestanti e ripristinare il rispetto del trattato di Rapallo.
L'avventura fiumana rese palese a tutti l'estrema debolezza del governo, delegittimando, insieme alla vecchia classe dirigente, tutta la democrazia liberale e lo stesso parlamento. "Il potere politico spettava direttamente ai 'produttori' e ai 'combattenti', non ai neutralisti traditori, né agli screditati notabili liberali che il 'parlamentarismo' aveva espresso sino ad allora. Nella ricerca di un tale nuovo e più morale modello di democrazia, fu però svalutata l'idea stessa della democrazia rappresentativa, con grande soddisfazione della destra, alla ricerca di un'alternativa autoritaria." (Salvatore Lupo, Fascismo e Nazismo, in Storia Contemporanea, Donzelli, Roma, 1997, p. 365).
Nel biennio 1920-21, ci fu la conversione del fascismo da interventismo di sinistra a interventismo squadrista di destra contro i socialisti.
Il fascismo nacque ufficialmente il 23 marzo 1919 a Milano. Quel giorno, in Piazza San Sepolcro, all'interno di Palazzo Castagni, sede in quel tempo del Circolo per gli Interessi Industriali, Commerciali e Agricoli della provincia di Milano, si radunò un piccolo gruppo di circa 120 ex combattenti, interventisti, arditi e intellettuali, che fondarono i Fasci italiani di combattimento.
Il nome fascismo deriva dai "Fasci di combattimento", fondati nel 1919 da Benito Mussolini. Etimologicamente, la parola fascio (in latino: fascis) si riferisce ai fasci usati dagli antichi littori, i magistrati romani, come simbolo del potere legittimo, che successivamente passarono ai movimenti popolari e rivoluzionari come simbolo di unione tra i cittadini. Il richiamo ai fasci va inoltre interpretato come un segno dell'innegabile fascino che il mito di Roma esercitava sul fascismo, il quale cercò di restaurare gli antichi fasti imperiali romani e giustificò la sua politica espansionistica come una missione civilizzatrice del popolo italiano, considerato erede di Roma.
Il loro compito era soprattutto quello di bloccare scioperi e occupazioni con la forza. Seguì quindi un programma economico-sociale che prevedeva, tra l'altro, l'abolizione del Senato, l'introduzione di tasse progressive, la pensione a 55 anni, la giornata lavorativa di otto ore, l'abolizione dei vescovati e la sostituzione dell'esercito con una milizia popolare.
Un contributo fondamentale alla nascita del fascismo fu dato dal movimento dello Squadrismo, ovvero l'organizzazione di squadre paramilitari con le quali si realizzò una sistematica demolizione delle sedi di partito (socialisti, popolari, comunisti), di giornali, cooperative e case del popolo, e la progressiva occupazione - con mezzi legali e illegali - di posizioni chiave nelle amministrazioni comunali.
Inoltre, lo stesso Giovanni Giolitti mantenne nei confronti del movimento fascista un atteggiamento benevolo, volto a utilizzarlo nel contrastare la sinistra, poiché era intenzionato a "costituzionalizzarlo" dopo aver preso il potere. Così facendo, si riteneva di esaurirne le potenzialità, poiché, venuti meno gli avversari di sinistra, il fascismo avrebbe perso gli appoggi, anche finanziari, di coloro che temevano la "minaccia rossa". Le squadre fasciste, a detta di Mussolini, giunsero a raccogliere 300.000 aderenti.
Il movimento, quell'anno, non ottenne voti alle elezioni dell'autunno, ma, finanziato inizialmente dagli agrari e successivamente dagli industriali, si organizzò in "squadre" paramilitari, composte da militanti provenienti da diverse parti del paese, con l'obiettivo di colpire, devastare e bruciare le sedi del Partito Socialista, le Case del Popolo, le cooperative, picchiare e pestare brutalmente gli avversari politici. In questo modo, alle elezioni del 1921, entrarono in Parlamento 35 deputati fascisti. Le azioni violente dei fascisti continuarono, aumentando il clima di paura nel paese, fino alla "Marcia su Roma" del 28 ottobre 1922, quando, dopo aver assaltato alcune prefetture, i fascisti, armati e in assetto militare, da più parti puntarono su Roma.
Il Re si rifiutò di firmare lo stato di assedio proposto dall'allora presidente del Consiglio, il liberale Facta, e incaricò Mussolini di formare un governo di coalizione con liberali e popolari. Fu proprio in occasione della presentazione di tale governo alle Camere che Mussolini pronunciò il celebre discorso in cui affermò che avrebbe potuto fare "di quest'aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli", ma per il momento si sarebbe accontentato di formare un governo di coalizione.
Dopo aver superato la crisi di consenso seguita al delitto Matteotti, Mussolini, con il discorso del 5 gennaio 1925, iniziò la costruzione del regime fascista, che sarebbe durato fino al 25 luglio 1943, con la caduta del governo e l'arresto di Mussolini da parte del Re.
Il regime e il consenso
Tra l'ottobre 1922 e l'inizio del 1925, Mussolini creò le condizioni per la costruzione del regime fascista. Il centro della sua azione fu la concessione di mano libera ai capi delle squadre paramilitari, le "camicie nere", che avevano organizzato la "Marcia su Roma", per intimidire gli oppositori del governo, siano essi comunisti e socialisti, oppure liberali, popolari e cattolici.
Il culmine si ebbe con il rapimento e l'assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti il 10 giugno del 1924, il quale precedentemente aveva accusato in Parlamento Mussolini di aver vinto grazie a brogli elettorali. Ne seguì la "crisi Matteotti"; i non fascisti liberali si divisero tra chi appoggiava Mussolini e chi stava con gli oppositori. Tra questi, per esemplificare, Giovanni Gentile, promotore di un "Manifesto degli intellettuali fascisti", e Benedetto Croce, promotore di un manifesto di segno opposto. Mussolini dimostrò di poter superare il momento critico con un forte giro di vite in senso repressivo, sostenuto anche dai ras dello squadrismo.
Il 5 gennaio 1925, in un discorso alla Camera, si assunse l'intera "responsabilità politica, storica e morale" di quanto accaduto e diede inizio alle cosiddette "leggi fascistissime", che riguardarono provvedimenti straordinari contro la Secessione dell'Aventino e la minaccia di usare la Milizia contro le aggressioni dell'opposizione ai membri dei Fasci. Il giorno successivo, su ordine del Ministro degli Interni Federzoni, i prefetti procedettero alla "chiusura di tutti i circoli e ritrovi sospetti dal punto di vista politico", allo "scioglimento di tutte le organizzazioni sovversive" e alla "vigilanza sui comunisti e gli antinazionali".
Il 2 ottobre 1925 venne siglato il Patto di Palazzo Vidoni (successivamente perfezionato con la legge Rocco del 3 aprile 1926): il patto riduceva i sindacati a due - fascisti -, uno per i lavoratori e l'altro per i padroni; veniva abolito il diritto allo sciopero per gli operai e di serrata per il padronato, e le controversie venivano ricondotte all'arbitrato dello stato e delle corporazioni.
Il 24 dicembre 1925 Mussolini acquisì i pieni poteri: il capo del governo diveniva responsabile solo nei confronti del sovrano. Il 31 ottobre 1926, a seguito dell'attentato da parte di Anteo Zamboni, Mussolini abolì la libertà di stampa per l'antifascismo, e i partiti e le organizzazioni antifasciste furono dichiarati decaduti. Con l'entrata in vigore della legge sulla stampa il 31 dicembre 1925, si stabiliva che i giornali potessero essere diretti, scritti e stampati solo se avevano un responsabile riconosciuto dal prefetto, quindi dal governo. Tutti gli altri divennero illegali.
Queste leggi furono completate nel 1928 con una modifica della legge elettorale per la Camera dei deputati, che prevedeva una lista unica nazionale di 400 candidati scelti dal Gran Consiglio del Fascismo da sottoporre agli elettori; si arrivò poi nel 1939 con l'istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, che mise fine alle elezioni, che ormai avevano assunto un carattere plebiscitario.
Così, in pochissimi anni, si procedette all'abolizione di ogni libertà di stampa, allo scioglimento di tutti i partiti politici ad eccezione del Partito Nazionale Fascista, all'abolizione di fatto dei sindacati e del diritto di sciopero, all'istituzione della figura del Capo del Governo, il Duce - con un suo esercito personale, la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, formata dai reduci delle squadre di "camicie nere" - fino all'abolizione di fatto del Parlamento e alla sua sostituzione sostanziale con il Gran Consiglio del Fascismo.
Le direzioni principali per la costruzione del regime e del consenso, tuttavia, furono essenzialmente la repressione e la propaganda. Capillare ed efficiente la prima, attraverso un'occhiuta polizia segreta, l'OVRA, e l'istituzione del Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato, le cui sentenze inappellabili condannarono al confino o in carcere i maggiori oppositori politici, oltre a intellettuali e lavoratori. Tra questi, Antonio Gramsci, segretario del Partito Comunista, che morì in carcere, e Sandro Pertini, dirigente socialista e futuro presidente della Repubblica Italiana.
Il militarismo
L'esperienza del biennio 1919-1920 aveva insegnato a Mussolini che i combattenti erano un'arma potentissima di propaganda. Scrive Patrizia Dogliani, una storica della società fascista:
"Dal 1925 in Italia vi sarebbe stata una sola interpretazione ufficiale della guerra e del dopoguerra. La guerra, secondo la vulgata, aveva, nel completare l'Unità d'Italia, messo in luce l'uomo nuovo, il combattente, pronto a offrire la propria vita per salvare il destino della Nazione." (Il fascismo degli italiani. Una storia sociale, Torino, UTET, 2008, p. 94).
L'Associazione Nazionale Combattenti, protagonista del 'biennio rosso', fu neutralizzata dalla formazione di numerose associazioni d'arma, che organizzavano raduni nei luoghi della Grande Guerra e coltivavano un mondo esclusivamente maschile, sensibile ai richiami dei valori della virilità imposti dal Fascismo.
La famiglia
Il fascismo mise al centro della società italiana la famiglia, pensata e organizzata secondo le secolari tradizioni rurali: l'uomo come pater familias, la donna come fattrice e donna di casa in tutti i sensi, tanti, tanti figli per arricchire la razza e la civiltà italiana di robuste braccia da lavoro e giovani uomini per le guerre di conquista coloniale. Ci piace qui ricordare quanto scrive Dogliani a proposito della concezione fascista della donna:
"Il connubio tra fascismo e Chiesa cattolica aumentò il peso del pensiero cattolico conservatore nell'atteggiamento fascista nei confronti delle donne. Virilismo e cattolicesimo conservatore composero la miscela atta a rendere la donna subalterna alla volontà maschile, ma il fascismo la rese anche essenziale alla realizzazione della società che concepiva." (op. cit. p. 119)
La scuola
Il regime pose grandissima attenzione alla formazione delle nuove generazioni. Già nel 1923 Giovanni Gentile, ministro dell'Educazione Nazionale, avviò la costruzione della nuova scuola con una riforma complessiva di struttura e programmi, incardinata, da un lato, sul pensiero idealistico, contrapposto al positivismo ottocentesco dell'Italia liberale, e, dall'altro, sul ginnasio-liceo classico come funzione di selezione della futura classe dirigente. I libri di testo erano controllati dallo Stato, e l'ideologia veicolata nelle scuole era squisitamente fascista, modellata anno per anno rispetto alle esigenze politiche del momento. Va ricordato, peraltro, che l'impianto, lo "scheletro", della riforma gentiliana sostiene ancora oggi la scuola italiana. Tuttavia, la scuola era solo un tassello del più ampio disegno di fascistizzazione della gioventù.
Si crearono organizzazioni giovanili fasciste:
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"Balilla" per i ragazzi dagli 8 ai 14 anni;
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"Avanguardia giovanile fascista" per i giovani dai 14 ai 18 anni;
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"Gruppi Universitari Fascisti" per gli studenti universitari;
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a 17 anni ci si poteva arruolare nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
La Chiesa, nelle trattative per il Concordato del 1929, riuscì a mantenere la sua Azione Cattolica e la sua FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), ma certamente non libere di professare idee antifasciste né di "fare politica".
Il razzismo
Un posto cruciale nel disegno politico fascista fu occupato dalla politica coloniale. L'Italia fascista invase e conquistò l'Etiopia con una guerra feroce e sanguinosa, occupandola e governandola con una repressione brutale, secondo i peggiori vizi del colonialismo occidentale. Mussolini proclamò "il ritorno dell'Impero sui colli fatali di Roma" con la creazione dell'A.O.I. (Africa Orientale Italiana), raggiungendo il massimo del consenso popolare. Gli italiani si sentirono conquistatori e dominatori del mondo.
Soprattutto cominciarono a sentirsi una 'razza superiore'. I giornali, la pubblicità, la radio, il cinema, le organizzazioni fasciste di massa, insistevano con una campagna martellante sulla superiorità dell'italianità e dei bianchi, dipingendo i 'negri' abissini (etiopi) come popoli arretrati che ancora praticavano la schiavitù, come riportato nel testo della famosa canzone "Faccetta nera". Su questo fertile terreno si innestò l'ideologia razzista del "Manifesto della Razza", che accoglieva le teorie peggiori del razzismo biologico di Gobineau e la difesa della purezza della razza in puro stile nazista. Il punto più basso fu raggiunto quando nella legislazione italiana si introdusse la discriminazione razziale. Le leggi razziali del 1938 suddividevano i cittadini italiani in quelli di ascendenza "ariana" e quelli di ascendenza ebraica, africana o di altre origini. Di fatto, furono leggi antisemite, in quanto rivolte principalmente contro gli italiani di religione ebraica, ai quali vennero imposti i divieti più assurdi, che oggi, nell'era della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ("Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti!"), ci appaiono palesemente incomprensibili.
Politica economica
Il governo mirò principalmente ad aumentare i margini di azione, e quindi di profitto, per l'iniziativa privata. Vennero inoltre alleggerite le tasse sulle imprese e privatizzati alcuni monopoli statali, come quello delle assicurazioni sulla vita e del servizio telefonico, con una conseguente riduzione dei costi (sebbene questi rimanessero comunque elevati). Si limitò la spesa pubblica, in parte attraverso il licenziamento di ferrovieri. La politica liberista in economia portò a buoni successi, con un aumento della produzione agricola e industriale. Il bilancio statale tornò in pareggio già nel 1925. Nel 1939 l'età pensionabile fu abbassata a 55 anni per le donne e 60 anni per gli uomini, venendo introdotta anche la reversibilità delle pensioni.
L'autarchia
La politica economica del fascismo si basò essenzialmente sull'autarchia: la nazione doveva diventare autosufficiente, in particolare per mantenere la propria indipendenza economica anche nei periodi di crisi. Questa linea divenne più decisa quando la Società delle Nazioni, a seguito della guerra d'Etiopia, applicò le sanzioni economiche, vietando il commercio con l'Italia. Il governo fascista incentivò, quindi, la produzione di prodotti autarchici, come la Lanital e il formaggio italico.
La battaglia del grano
Per raggiungere l'autosufficienza alimentare, fu avviata la "battaglia del grano", che mirava ad aumentare la superficie coltivata e a impiegare tecniche agricole più avanzate. La "battaglia" portò a un aumento del 50% della produzione cerealicola e le importazioni si ridussero di un terzo. Tuttavia, ciò comportò una riduzione della produzione di colture ortofrutticole.
Le bonifiche In soli tre anni vennero completate le operazioni di bonifica dell'Agro Pontino, che videro al lavoro migliaia di uomini, in gran parte poveri contadini provenienti dal centro-nord. Nella nuova e fertile pianura vennero costruite 3000 fattorie, destinate principalmente ai contadini che avevano lavorato alla bonifica. Altre imponenti bonifiche si svolsero nella valle del Po, sulla Murgia barese e in Maremma.
Quota 90
Il governo fascista cercò di ridare valore alla moneta italiana, fissando la parità di 90 lire per una sterlina.
La riforma Gentile
Uno dei primi atti del governo Mussolini fu una radicale riforma scolastica, portata avanti dal ministro Giovanni Gentile nel 1923. La riforma prevedeva un'istruzione di tipo classico e un esame finale alla conclusione di ogni ciclo di studi, mettendo così sullo stesso piano scuole pubbliche e private. L'analfabetismo, in particolare quello femminile, diminuì notevolmente.
La riforma, tuttavia, non fu mai completata nel senso voluto dal filosofo, ma subì diversi aggiustamenti successivi. Tra gli scopi fondamentali – in un'ottica fascista – della riforma vi erano l'estensione della scuola dell'obbligo fino ai 14 anni (per combattere l'analfabetismo), la preminenza assoluta degli insegnamenti classici, gli unici che permettevano l'accesso all'università, sebbene questa regola subì successivamente delle modifiche (lo scopo era selezionare un'élite intellettuale per la guida del paese); inoltre, la realizzazione di una solida istruzione tecnica per tutti coloro che non avessero avuto le capacità per accedere ai gradi superiori d'istruzione (con l'intento di gerarchizzare la società e preparare meglio i futuri lavoratori).
I Patti Lateranensi (1929)
I Patti Lateranensi sono gli accordi di mutuo riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Santa Sede, sottoscritti l'11 febbraio 1929. Presero il nome dal Palazzo di San Giovanni in Laterano, dove avvenne la firma. Gli accordi furono negoziati tra il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri, per conto della Santa Sede, e Benito Mussolini, capo del Fascismo e primo ministro italiano.
I Patti Lateranensi erano costituiti da due distinti documenti: il Trattato, che riconosceva l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede e fondava lo Stato della Città del Vaticano, con vari allegati, tra cui la Convenzione Finanziaria, e il Concordato, che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo (prima di allora, cioè dalla nascita del Regno d'Italia, le relazioni erano sintetizzate nel motto: «libera Chiesa in libero Stato»).
La Convenzione Finanziaria regolava le questioni sorte a seguito delle spoliazioni degli enti ecclesiastici dovute alle leggi eversive. Era prevista l'esenzione dalle tasse e dai dazi sulle merci importate per il nuovo Stato della Città del Vaticano, nonché un risarcimento di 1 miliardo e 750 milioni di lire, in aggiunta a titoli di Stato consolidati al 5% al portatore, per un valore nominale di un miliardo di lire, come compensazione per i danni finanziari subiti dallo Stato Pontificio a seguito della fine del potere temporale.
Il governo italiano accettò di allineare le proprie leggi sul matrimonio e sul divorzio a quelle della Chiesa cattolica, e di esentare il clero dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo come religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole, già introdotto nel 1923 e ancora oggi presente, sebbene con modalità diverse.
Politica estera
In politica estera, il fascismo seguì inizialmente esclusivamente le direttive mussoliniane, caratterizzate da pragmatismo e cinismo, fino alla nomina di Galeazzo Ciano agli Esteri. Successivamente, con la direzione di Ciano e i minori margini di manovra derivanti dalla situazione internazionale, l'Italia si trovò a dover agire in modo sempre meno autonomo. Dopo l'incidente di Corfù del 1923, Mussolini non si discostò per un lungo periodo dall'obiettivo di mantenere lo status quo in Europa, seguendo una politica prudente e evitando avventure militari, nonostante la retorica nazionalista e militarista fosse uno degli aspetti distintivi del fascismo. L'Italia mantenne buone relazioni con Francia e Inghilterra, contribuendo al ritorno della Germania nel sistema delle potenze europee, pur nel rispetto dei limiti imposti dal Trattato di Versailles (1919). Al contempo, cercò di dotarsi anche di un impero coloniale, che si indirizzò verso l'Etiopia e l'Eritrea, note all'epoca come Abissinia.
La campagna militare italiana per la conquista dell'Abissinia fu la conseguenza della decisione di Mussolini di fornire all'Italia una solida base coloniale da cui attingere materie prime, derrate, uomini, e che potesse anche offrire uno sbocco all'emigrazione in vista di un possibile conflitto. La campagna, condotta con un imponente dispiegamento di forze, si concluse con relativa facilità. Dal punto di vista propagandistico, essa rappresentò il più grande successo del regime fascista, capace di attrarre intellettuali e persino antifascisti, grazie ai temi ricorrenti come il "posto al sole", la liberazione degli abissini dalla schiavitù e la rinascita dell'Impero Romano.
Come conseguenza dell'aggressione all'Etiopia, l'Italia fu condannata dalla Società delle Nazioni, che imponeva un blocco commerciale nel Mediterraneo e sanzioni economiche da parte di 52 nazioni, incluse tutte le potenze coloniali europee. Ciò favorì l'avvicinamento economico e politico dell'Italia alla Germania nazista (che, pur avendo rifornito di armi l'Etiopia in funzione antitaliana fino a poco prima del conflitto, era già uscita dalla Società delle Nazioni e aveva denunciato gli accordi di Versailles). Successivamente, l'Impero in Africa Orientale fu amministrato con un pugno di ferro, in particolare contro le bande di ribelli e i lealisti del vecchio governo del Negus, mentre si preparava una separazione tra le popolazioni indigene e i nuovi coloni italiani.
Nel 1938, con l'Europa che già respirava aria di guerra, Hitler aveva annesso l'Austria e i Sudeti e, con la successiva Conferenza di Monaco, ottenne il lasciapassare per l'annessione dell'intera Cecoslovacchia. Il 22 maggio, Germania e Italia firmarono il Patto d'Acciaio, un accordo che sanciva l'imminente guerra e legava l'Italia a una stretta alleanza con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero al patto e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per l'Italia, lo definì «una vera e propria dinamite». Pochi mesi dopo, l'Italia fascista si schierò a fianco dei franchisti nella guerra civile spagnola, inviando un corpo di spedizione di 20.000 uomini.
La caduta
La caduta di Mussolini avvenne il 25 luglio 1943, a seguito di un'iniziativa da parte di alcuni importanti gerarchi (come Grandi, Bottai e Ciano), che con l'appoggio del Re, presentarono un famoso ordine del giorno al Gran Consiglio del Fascismo. Con tale atto, si chiedeva al Re di riprendere il potere, portando all'arresto di Mussolini e al crollo improvviso del regime fascista, che si dissolse rapidamente. Tuttavia, la caduta di Mussolini non segnò la fine della guerra, che continuò per alcune settimane caratterizzate dall'incertezza del nuovo governo Badoglio. Quest'ultimo, infatti, sottoscrisse l'armistizio di Cassibile, ma la situazione rimase complessa e ambigua.