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LA BANALITÀ DEL MALE

Il processo a Eichmann

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Otto Adolf Eichmann nacque nel 1906 in Germania, precisamente a Solingen. Durante la sua giovinezza on concluse gli studi superiori cercando lavoro dapprima come meccanico, per poi essere assunto in alcune aziende. 

Non mostrò mai particolare interesse verso la politica inizialmente, tuttavia quando iniziarono alcuni raduni di partiti politici negli anni ’30 cominciò a prenderne parte. In una di queste occasioni incontrò un vecchio amico di famiglia, Ernst Kaltenbrunner, che lo aiutò ad accedere al corpo delle SS tedesche. 

La vera svolta nella sua vita avvenne quando, a seguito di sue personali ricerche sulla comunità ebraica, Eichmann intuì che il metodo più efficace per fare carriera in quel campo era presentarsi come esperto di ebraismo. Nel 1938 ebbe l’occasione per farsi notare dai superiori, infatti a seguito della necessità da parte del Reich di espellere gli ebrei austriaci dal territorio costituì un’efficiente agenzia con la quale riuscì a cacciare dall’Austria 50.000 ebrei. Venne quindi promosso a ufficiale e venne chiamato per lavorare nell’ufficio di Göring per l’emigrazione forzata degli ebrei di Berlino diventandone poi capo nel 1939. Nel 1942, con la Conferenza di Wannsee, i piani alti dell’organizzazione nazista escogitarono la cosiddetta soluzione finale ed Eichmann divenne il coordinatore responsabile delle deportazioni verso i campi di concentramento. Tuttavia l’uomo non divenne mai davvero parte dell’élite nazista, non ebbe mai alcun tipo di peso nelle decisioni strategiche e questo gli permise di rimanere nell’ombra anche dopo la fine della guerra, facendo perdere le sue tracce per anni.

 

LA CATTURA 

Eichmann con la fine della guerra si trasferì prima nelle campagne tedesche, per poi rifugiarsi in Argentina sotto falso nome. Lavorò negli stabilimenti della Mercedes vicino a Buenos Aires. 

Nel 1953 il noto cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal aveva scoperto che Eichmann si trovava da qualche parte in argentina, ma il tassello finale arrivò nel 1957. Il figlio dell’ufficiale, infatti, era solito vantarsi del passato del padre, il ragazzo iniziò a frequentare la figlia di un ebreo sopravvissuto a Dachau e le rivelò il suo vero nome. La ragazza informò le autorità che lo fecero presente ai servizi segreti israeliani, così una squadra di 8 agenti l’11 maggio del 1957 catturarono Eichmann mentre tornava a casa dopo il lavoro. 

IL PROCESSO 

Dopo la sua cattura Eichmann fu sottoposto a 10 giorni di interrogatori durante i quali non oppose una particolare resistenza. Venne portato in Israele il 22 maggio e il pomeriggio del giorno successivo fu annunciata la sua cattura. 

Una volta arrivato in Israele seguirono altri mesi di interrogatori prima dell’effettivo processo, durante i quali gli venne data la possibilità di scrivere qualche memoria e qualcosa utile alla sua difesa. Prima di morire scrisse quasi 10.000 pagine. 

Il processo iniziò l’11 aprile 1961 presso la corte distrettuale di Gerusalemme. Nell’aula in cui si tenne erano presenti 750 posti ed Eichmann dovette rispondere a quindici imputazioni avendo commesso: 

  • Crimini contro il popolo ebraico 

  • Crimini contro l’umanità 

  • Crimini di guerra sotto il regime nazista 

La legge a cui si fece capo per il processo fu emanata nel 1950 e prevedeva che per chiunque avesse commesso anche solo uno dei crimini precedentemente elencati poteva essere condannato a morte. 

L’imputato si dichiarò “non colpevole nel senso dell’atto dell’accusa” per tutte le quindici imputazioni. 

La durata del processo di primo grado durò quattro mesi, con un totale di 150 udienze. Per la prima volta dei sopravvissuti alla Shoah testimoniarono all’interno di un processo, furono in totale 112 e vi furono numerosi svenimenti in aula. Eichmann venne difeso da un avvocato di Colonia pagato dal governo israeliano perché la Germania si rifiutò di ricoprire le spese. Durante tutto il processo venne predisposta una gabbia di vetro antiproiettile e una troupe americana registrò ogni udienza. Per tutta la durata del processo le uniche difese che l’avvocato di Eichmann portò furono il fatto che non poteva essere processato a Gerusalemme e che stava soltanto eseguendo gli ordini. 

Dopo quattro mesi dalla fine del processo Eichmann venne dichiarato colpevole di tutti i capi d’accusa e venne giustiziato l’1 giugno 1962. 

LA BANALITÀ DEL MALE 

Anna Arendt, una filosofa e storica tedesca che scappò negli stati uniti per sfuggire alle persecuzioni, scrisse un celeberrimo libro sul processo ad Eichmann: la banalità del male. Al suo intero l’autrice descrive di come effettivamente l’uomo non fosse né pazzo né sociopatico né tantomeno un fanatico ossessionato dalla causa nazista. Semplicemente era un uomo di media intelligenza che ha colto un’occasione per fare carriera e l’ha colta, dando pace al suo incessante desiderio di trovare un ruolo di spicco nel mondo. Una volta compreso che percorrendo quella determinata strada all’interno delle SS avrebbe potuto acquisire una posizione di prestigio gli fu facile mettere da parte coscienza ed empatia e prendere parte alle peggio atrocità. La Arendt sottolinea più volte che dal punto di vista di Eichmann le sue azioni erano semplicemente ordini eseguiti datogli dai suoi superiori. Eichmann nel libro viene descritto come la personificazione dell’”assenza di pensiero”, la quindi completa assenza di un’etica in grado di distinguere azioni che portano al bene e azioni che portano al male. 

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